«Finché Cristo non sia formato in voi»
(Gal 4,19)
«Lasciarsi abbracciare dall’amore del Padre è la prima mossa per quella conversione che consente di assumere il pensare e il sentire di Cristo» (Angelo Scola, Educarsi al pensiero di Cristo, p. 31)
- Tutta la vita del cristiano è uno sforzo continuo per giungere a dire con Gesù: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. (Matta El Meskin, Consigli per la preghiera)
La formazione permanente è quella azione progressiva e costante attraverso la quale noi cristiani portiamo a compimento, dunque realizziamo, la nostra identità di figli di Dio, l’identità per la quale siamo stati creati, affinché questo figlio di Dio sia sempre più riconoscibile come colui che il Padre ha generato. Come fare per formare in noi qualcosa di divino? Chi può formare in noi i sentimenti del Figlio? Solo chi conosce il Figlio. E chi conosce il Figlio se non il Padre? Solo il Padre può riprodurre in noi la sua immagine, i suoi sentimenti, la sua sensibilità, attraverso l’azione dello Spirito Santo.
La
formazione permanente è la continuazione della creazione. Il Padre ci ha creati
a immagine sua e del Figlio, ma questo è un progetto: la formazione permanente
è la continuazione di questa azione creativa. È la creazione che continua nel
tempo. È la creazione che si compie ogni giorno. La nostra vita continua il mistero della creazione, ci rimette
nelle grandi mani del Padre, le uniche che possono portare a compimento questo
progetto. Dobbiamo sentirci sempre tra queste grandi mani che realizzano quello
che per noi soli sarebbe impossibile. Naturalmente il Padre compie questa azione
solo in chi si rende disponibile, in chi ci crede fino in fondo, in chi si
abbandona a questa azione, in chi lascia concretamente che il Padre porti
avanti questa operazione, in chi accoglie in sé il progetto creativo del Padre. Possiamo allora correggere la definizione precedente:
la formazione permanente è quella azione progressiva e costante attraverso la
quale il Padre porta a compimento il
progetto della creazione, realizzando in noi l’immagine e la somiglianza con il
Figlio.
In
che modo il Padre ci plasma? Attraverso le vicende della vita. Non possiamo
neanche immaginare quanto sia grande il desiderio del Padre di ritrovare in noi
il volto del Figlio suo. La formazione
permanente è quindi una grazia sicura, che viene continuamente riversata
su di noi, anche se siamo distratti: la nostra azione è incerta ed eventuale,
l’azione del Padre invece è sicura. Non esiste un solo istante della nostra
vita privo di attenzione formativa da parte del Padre. La formazione permanente è un gesto continuo che il Padre mette in atto per
formare in noi il cuore del Figlio. Il
Padre non cessa di essere il Padre che crea la nostra vita, non cessa di
portare avanti questo processo creativo che porta alla piena realizzazione
della nostra identità.
(Amedeo Cencini, Temi di Vita Spirituale)
n. 61 – Gusto profondamente questa semplicità di vita… Le lunghe ore di preghiera e di lettura così semplici, così solitarie… Cerco di approfittare di queste grazie, di queste dolcezze, di questa pace, dell’aria buona che respiro, di questa solitudine che fa così bene, di questa atmosfera sana dove mi sembra essere, per meditare, leggere, lasciare che il buon Dio mi formi… (Charles de Foucauld, Pensieri)
Lasciatevi trasformare (Rm 12,2)
L’anima tratta dal nulla desidera ritrovare le sue origini, chiede di essere creata di nuovo, di lasciarsi disfare e rifare con i suoi elementi purificati uno dopo l’altro. Il punto di mira dell’ascesi si pone dunque anteriormente alla natura decaduta, per giungere alla struttura verginale dell’io “a immagine di Dio”. (p. 124)
L’ascesi cerca di ritrovare la più profonda conformità dell’uomo alla sua verità. L’ascesi si esercita a rendere l’uomo “somigliantissimo” al pensiero di Dio su di lui. In questa prospettiva le “opere della fede” non sono né mezzi né meriti, ma i sintomi della salute-salvezza. (p. 192)
L’ascesi insegna la partecipazione alla “salute” del Salvatore. (p. 193)
(Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale)
Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29)
Scrive Columba Marmion: «Ogni vita cristiana, come ogni santità, si riduce a questo: essere per grazia ciò che Gesù è per natura: il Figlio di Dio». Questa deve essere la preoccupazione fondamentale del cristiano: contemplare Gesù e far proprio, anzitutto, il suo atteggiamento di figlio davanti al Padre celeste, che è anche nostro Padre. Il cristiano deve rassomigliare al suo divino modello in tutto, ma specialmente in questa continua aspirazione verso il Padre celeste. (Antonio Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana)
2601 È contemplando e ascoltando il Figlio che i figli apprendono a pregare il Padre. (Catechismo della Chiesa Cattolica)
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!” (Rm 8,15)
Amato mio Gesù, rivestimi di te, immedesima la mia anima a tutti i movimenti dell’anima tua, sommergimi, invadimi, sostituisciti a me, affinché la mia vita non sia che una irradiazione della tua vita.
Fuoco consumante, Spirito d’Amore, discendi in me, perché si faccia nell’anima mia quasi una incarnazione del Verbo! Che io gli sia un prolungamento di umanità, in cui egli possa rinnovare tutto il suo mistero.
E tu, Padre, chinati verso la tua povera, piccola creatura, coprila della tua ombra, non vedere in essa che il Figlio amato nel quale hai posto le tue compiacenze.
(Santa Elisabetta della Trinità)
“Il Logos che nasce sempre nel cuore dei fedeli” (Epistola a Diogneto) nasce e cresce. San Gregorio Nisseno precisa: “il bambino Gesù cresce in diverse maniere a seconda della misura di ciascuno: si manifesta come un fanciullo, come un adolescente, oppure come un uomo fatto”. Secondo San Massimo il Confessore, il mistico è colui nel quale si manifesta meglio la nascita del Signore. Così per Sant’Ambrogio: “Ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio: secondo la carne vi è una madre del Cristo, ma secondo la fede il Cristo è frutto di tutti noi”, ed è così che San Paolo definisce il suo compito pastorale: “finché Cristo non sia formato in voi” (Gal 4,19). Il Cristo divenuto “uomo adulto” nell’anima umana è il battesimo passato alla eucarestia, estesa alla vita intera del fedele. È più che la nascita, è la comunione in cui l’uomo “in Cristo” diviene una parte del suo Corpo, suo membro vivente. (Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale, pp. 255-256)
n. 63 – I mezzi di cui egli si è servito nel Presepio, a Nazareth, sulla Croce sono: Povertà, Abiezione, Umiliazione, Abbandono, Persecuzione, Sofferenza, Croce. Eccole, le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino, il quale ci chiede di lasciargli continuare in noi la sua vita… Seguiamo questo Modello unico; saremo allora sicuri di trovarci nel giusto perché non siamo più noi che viviamo, ma lui che vive in noi. (Charles de Foucauld, Pensieri)
Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,19-20)
5.1.
5.1.
«Il seme è la parola di Dio»
(Lc 8,11)
« Accogliere la Parola di Dio è come accogliere il Pane del Cielo » (Maria Valtorta, Quaderni del 1944, 11 gennaio)
« Comunione può dirsi la Parola e può dirsi il Pane. Ché la prima è Comunione di Dio Spirito allo spirito ed intelletto dell’uomo, e l’altra è Comunione di Dio Carne e Sangue all’uomo tutto, per trasformarlo in Dio per operazione di grazia santissima e di infinito amore. Come per la Comunione del Pane Angelico io ti dico anche per la Parola: non riceverla mai indegnamente onde non ti sia “morte”, ma con spirito retto, umile, ubbidiente, tutta amore, di essa e dell’Eucarestia saziati nel tempo per esserne pingue per l’eternità. Perché questi Cibi, che dal Cielo vengono, fra loro si aiutano e si completano, dando la completa ed eterna Vita secondo la promessa del Verbo Gesù: “Chi custodisce le mie parole non vedrà la morte in eterno” [Gv 8,51] e “Chi mangia questo Pane vivrà in eterno” [Gv 6,58] » (Maria Valtorta, Libro di Azaria, 20 giugno 1946)
La Parola letta e ascoltata conduce sempre alla
Persona vivente del Verbo. (p. 233)
Già Clemente Alessandrino indica che ci si deve nutrire del seme di vita contenuto nella Bibbia come dell’eucarestia, ma è Origene che fissa il significato della manducazione della Scrittura e la tradizione lo segue: si consuma “eucaristicamente” la parola “misteriosamente spezzata”. Girolamo dice anche: “Noi mangiamo la sua carne e beviamo il suo sangue nella divina eucarestia, ma anche nella lettura della Scrittura”. (p. 234)
(Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale)
21. La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita sia dalla mensa della Parola di Dio che da quella Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunicano immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. «Infatti la parola di Dio è viva, efficace» (Eb 4,12) e «ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32). (Papa Paolo VI, Dei Verbum)
156. La lettura orante della Parola di Dio, più dolce del miele (Sal 119,103) e spada a doppio taglio (Eb 4,12), ci permette di rimanere in ascolto del Maestro affinché sia lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino (Sal 119,105). «La devozione alla Parola di Dio non è solo una delle tante devozioni, una cosa bella ma facoltativa. Appartiene al cuore e all’identità stessa della vita cristiana. La Parola ha in sé la forza per trasformare la vita». (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate)
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza (Col 3,16)
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato (Gv 15,3)
Come bambini appena nati bramate il genuino latte spirituale, grazie al quale voi possiate crescere verso la salvezza (1Pt 2,2)
30. La parola ispirata va ascoltata con la certezza che è Parola di Dio, pronunciata per l’oggi e «per me». Non si tratta di riportare alla memoria un’informazione, ma di lasciar “parlare” Dio. (Papa Giovanni Paolo II, Rosarium Virginis Mariae)
La Parola è il contenuto quotidiano del cammino formativo del cristiano. Dio si manifesta tutti i giorni (teofania quotidiana), alla sua maniera, delicata, come il sussurro di una brezza leggera. Dobbiamo metterci in ascolto… Ogni giorno è “grembo” nel quale una Parola è stata deposta, e che deve essere “partorita”. Ogni giorno riceviamo in dono una Parola perché si compia, ogni giorno ci è data una Parola che dovrebbe compiersi in quel giorno: l’episodio in cui Gesù legge il rotolo di Isaia dovrebbe accadere, nel nostro piccolo, tutti i giorni.
Il cristiano inizia la sua giornata ascoltando Dio che gli parla… non “leggendo un libro” che si chiama Bibbia. È del tutto logico e naturale che un credente inizi la giornata ascoltando Dio che gli parla, ascoltando Dio che ha una cosa da dirgli, ascoltando Dio che ha preparato una Parola per lui. Non una Parola qualunque, ma quella destinata alla comunità dei credenti: il senso di Chiesa Universale viene anche dal fatto di alimentarsi tutti dello stesso cibo, di lasciarsi illuminare tutti dalla medesima luce. Porsi in ascolto del Dio che ci parla…
Ciò che una persona pone all’inizio e alla fine della giornata rivela ciò che conta di più nella vita di una persona. La prima e l’ultima cosa da fare, il primo e l’ultimo pensiero, la prima e l’ultima attenzione… Il cristiano pone all’inizio della giornata colui che questa giornata gliela ha donata, l’unico che può svelarne senso e mistero… Il credente vuole con questo gesto riaffermare il proprio essere discepolo, tale perché crede nella Parola e nella sua efficacia formativa: si nutre di essa secondo il “menu” preparato dal Padre ogni giorno. La Parola del giorno è il contenuto della formazione permanente, la lezione quotidiana di quella singolare scuola in cui Dio è il Padre/Maestro. Se da un lato ogni nuovo mattino è un nuovo inizio della nostra vita, La Parola quotidiana è ciò che dà l’avvio e imprime il ritmo a ogni giorno, indicandogli un centro, affidandogli un compito… Ogni giorno ha la sua propria vocazione perché la chiamata di Dio è quotidiana: nella Parola del giorno posso cogliere il senso della chiamata di oggi. La Parola del giorno dà intelligenza al mio discernere e rende attento il mio agire. La Parola del giorno ha la precedenza su tutto.
(Amedeo Cencini, Temi di Vita Spirituale)
« Coloro che hanno fame di Giustizia, fame di Verità, fame di Sapienza, per questi miei benedetti, Io do un Pane che li aiuta a gustare sempre meglio l’altro Pane che sono Io-Eucaristia. Anche nella mia vita pubblica ho fatto precedere il pane della Parola al pane del Sacramento. È sempre Quello che deve preparare a Questo » (Maria Valtorta, Quaderni del 1944, 16 marzo)
5.2.
«Chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui»
(Gv 6,56)
5.2.
«Chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui»
(Gv 6,56)
Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, non avete in voi la vita (Gv 6,53)
Chi mangia la mia carne ha la vita eterna (Gv 6,54)
I “poveri in spirito” ricevono in dono, gratuitamente, il “grano degli angeli”, la Parola del Padre discesa nel pane eucaristico. (Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale, p. 150)
La Santa Messa ci ricorda le glorie del Verbo Incarnato, che è nuovamente venuto ad abitare in mezzo a noi e che noi ci portiamo via pieno di grazia e di verità, per attingere nel corso della giornata a questa fonte di vita e vivere d’una vita simile a quella dello stesso Gesù.
L’Eucaristia nutre l’anima nostra che, come il corpo, ha bisogno d’alimentarsi per vivere e fortificarsi. Ora, per alimentare una vita divina è necessario un alimento divino: e sarà il corpo e il sangue di Gesù Cristo, la sua anima e la sua divinità, che ci trasformeranno in altrettanti Cristi, facendo passare in noi il suo spirito, i suoi sentimenti e le sue virtù, e soprattutto il suo amore per Dio e per gli uomini.
I suoi effetti sono dunque simili a quelli del nutrimento materiale: sostiene, aumenta e ripara le forze spirituali. Ma qui è Gesù stesso il nostro alimento, l’intero Gesù, il suo corpo, il suo sangue, la sua anima, la sua divinità. Gesù si unisce a noi per trasformarci in lui; questa unione è insieme fisica e morale, trasformante e di sua natura permanente.
È unione così intima che Gesù non teme di dire: «Come io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57); bisogna intendervi non solo un’unione morale fondata sopra una comunanza di sentimenti ma una vera unione fisica, che comporta la fusione di due vite, o meglio la partecipazione del cristiano alla vita stessa di Cristo.
Cè tra Gesù e noi un’unione simile a quella che esiste tra il cibo e colui che l’assimila; con questa differenza però: non siamo noi che trasformiamo Gesù nella nostra sostanza, ma è Gesù che ci trasforma in lui: è infatti l’essere superiore che assimila l’inferiore.
Questa unione spirituale si prolunga quanto vogliamo, affermando Gesù stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56). Quanto a lui altro non brama che di restare eternamente in noi; da noi quindi dipende, con la sua grazia, di restargli costantemente uniti.
(Adolfo Tanquerey, Compendio di Teologia Ascetica e Mistica)
Nessuno è mistico al di fuori dell’eucarestia. (Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale, pp. 255)
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me (Gv 6,57)
Colui che mangia di me vivrà per me significa prima di tutto che il tralcio vive perché si nutre di ciò che la vite gli trasmette, la linfa vitale. Cristo trasmette in noi la sua Vita: vivrà per me cioè per causa mia. Dio è quindi la causa della nostra vita naturale e soprannaturale. Oltre al senso causale: chi mangia di me vivrà per causa mia, perché sono io che infondo la vita in lui; c’è anche un senso finale: chi mangia di me vivrà orientato a me, perché sono il fine della sua vita. Unendoci a Cristo noi riceviamo la Vita soprannaturale da Cristo e tendiamo sempre più a questa Vita finché lo contempleremo faccia a faccia. Io vivo per il Padre significa che il Figlio vive perché è eternamente generato dal Padre ma anche che vive continuamente orientato al Padre. Così anche noi viviamo perché Cristo ci infonde la sua vita, ci trasmette la sua umanità glorificata, e nel medesimo tempo viviamo orientati a lui. Gesù pone la sua intimità con noi sullo stesso piano di quella che lui vive con il Padre. Il Padre e il Figlio sono così profondamente uniti da essere una cosa sola. (Livio Fanzaga, La Fame di Dio)
157. Quando riceviamo Cristo nella comunione, rinnoviamo la nostra alleanza con Lui e gli permettiamo di realizzare sempre più la sua azione trasformante. (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate)
5.3.
«Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori»
(Ef 3,17)
5.3.
«Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori»
(Ef 3,17)
655 Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. In lui i cristiani gustano «le meraviglie del mondo futuro» (Eb 6,5) e la loro vita è trasportata da Cristo nel seno della vita divina. (Catechismo della Chiesa Cattolica)
La virtù di Cristo abita nei nostri cuori mediante la fede. Ogni volta che ci dirigiamo a lui con il contatto della nostra fede vivificata dalla carità, promana da Cristo una virtù santificante che esercita sulle nostre anime un influsso benefico. Il Cristo di oggi è lo stesso del Vangelo, e tutti quelli che si avvicinavano a lui con fede e con amore partecipavano di quella virtù che da lui si dipartiva e sanava le infermità dei corpi e delle anime: «da lui usciva una forza che guariva tutti» (Lc 6,19). «Come dunque dubitare che, quando ci avviciniamo a lui, anche fuori dei sacramenti, per mezzo della fede, con umiltà e confidenza, emani da lui una potenza divina capace di rischiararci, fortificarci, aiutarci, soccorrerci? Nessuno si è mai avvicinato con fede a Gesù Cristo senza essere stato colpito dai raggi benefici che si sprigionano continuamente da questo focolare di luce e di calore» (Marmion). L’anima che vuole santificarsi deve moltiplicare e intensificare sempre più questo contatto con Cristo mediante la fede ardente vivificata dall’amore. (Antonio Royo Marín, Teologia della perfezione cristiana)
149. Sono necessari anche alcuni momenti dedicati solo a Dio, in solitudine con Lui. Per Santa Teresa d’Avila la preghiera è «un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati». Vorrei insistere sul fatto che questo non è solo per pochi privilegiati, ma per tutti, perché «abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata» (Giovanni Paolo II). La preghiera fiduciosa è una risposta del cuore che si apre a Dio a tu per tu, dove si fanno tacere tutte le voci per ascoltare la soave voce del Signore che risuona nel silenzio.
151. «È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, frammentata per le fatiche della vita, segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo». Ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina.
171. Anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio. Così possiamo permettere la nascita di quella nuova sintesi che scaturisce dalla vita illuminata dallo Spirito.
(Papa Francesco, Gaudete et Exsultate)
118. « Come coloro che si amano fissano durante il giorno degli appuntamenti in cui si consacrano unicamente gli uni agli altri, così noi abbiamo i nostri appuntamenti: la preghiera della mattina e della sera, la Messa, la Comunione... Disponiti a essi rallegrandotene... » (Suor Maria della Trinità, Colloquio interiore)
«Entra nella tua anima e trova Dio, gli angeli e il regno» (San Macario)
- La preghiera è la finestra luminosa attraverso la quale contempli già la vita eterna.
- Durante la preghiera la vita eterna
squarcia questo velo e invade la tua esistenza temporale.
(Matta El Meskin, Consigli per la preghiera)
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli (Mt 7,21)
33. « È necessario fare un silenzio profondo, perché la mia voce è dolce. Bisogna liberare l’anima da ogni preoccupazione; bisogna amarmi in spirito e verità, essere in tutto nella verità ».
125. « Non basta dire: “Dio mio, confido in Voi!”. Bisogna fare l’azione interiore di liberarsi da ogni inquietudine e appoggiarsi sul mio Cuore, come l’Apostolo Giovanni durante la Cena, sì, come Giovanni il Prediletto. Aspetto da ogni anima questa fiducia... ».
(Suor Maria della Trinità, Colloquio interiore)
Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto (Mt 6,6)
L’opposizione corrente tra aderire al mondo e uscire dal mondo è di carattere spaziale. Il fondo del problema è nella dimensione verticale: “Quando preghi, entra nella tua cameretta e chiudi la porta”. Non si tratta del luogo, ma della porta chiusa. È così che il Greco andava a cercare i colori in fondo alla sua anima. Bisogna saper far posto al silenzio, al raccoglimento: senza questi momenti, carichi di intensità interiore, la vita spirituale rischia di dissolversi in una sterile agitazione. La preghiera di Gesù insegna ad avere di questi momenti, anche in luoghi pubblici, e a essere efficaci per l’altro con il proprio silenzio. (p. 205)
Una parte del nostro essere è immersa nell’immediato, si trova costantemente preoccupata e dispersa, mentre un’altra parte di noi stessi l’osserva con stupore e compassione. “L’uomo agitato suscita il riso degli angeli”. (p. 216)
La preghiera ci rivela a noi stessi: il suo silenzio offre la distanza indispensabile per comprendersi. (pp. 216-217)
La preghiera è la fonte e al tempo stesso la forma più intima della nostra vita: “entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto” (Mt 6,6), significa entrare in se stessi e farvi un santuario. Il “luogo segreto” è il cuore umano. (p. 216)
Il deserto per gli asceti diviene interiore e significa la concentrazione dello spirito raccolto e silenzioso. È a questo livello, in cui l’uomo sa tacere, che si pone la vera preghiera e che l’essere è misteriosamente visitato. (p. 216)
(Pavel Evdokimov, Le età della vita spirituale)
E noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23)
118. « Non appena stai in ascolto dentro di te, mi ritrovi: sono già presente, in attesa ».
586. « Mi si cerca lontano... io che sono sempre vicino a voi ».
610. « Scendete al fondo, nel più profondo di voi stessi: voi mi ci troverete. Fate silenzio nel più profondo di voi stessi: capirete la mia voce. Ascoltatemi! Fate quanto vi dico: io vi trasformerò! ».
(Suor Maria della Trinità, Colloquio interiore)
La preghiera è quel luogo, quel momento, in cui sperimentiamo particolarmente di essere attesi e cercati da Dio. Quando noi decidiamo di dare un certo spazio alla preghiera è come se noi cedessimo al desiderio che Dio ha di stare con noi. Come se nella preghiera Dio finalmente ci incontrasse. La preghiera del cristiano è incontrarsi con Dio, lasciarsi avvolgere dallo sguardo del Padre che si compiace di stare con me. La preghiera è Dio che può appagare il suo desiderio di stare con la creatura. Devo pensare a quanto Dio è contento di stare con me… (Amedeo Cencini, Temi di Vita Spirituale)
- Cristo attende, desidera la tua preghiera: “Ecco, sto alla porta e busso” (Ap 3,20).
- La preghiera autentica, nella quale hai accesso al Padre e parli alla sua presenza, non è un semplice atto umano: è essenzialmente un invito divino, al quale tu non fai che rispondere. Dio è sempre e in ogni tempo disposto a riceverti e non cessa di invitarti a venire a lui: “Tutto il giorno ho steso le mani verso un popolo disobbediente e ribelle!” (Rm 10,21). “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). “Colui che viene a me, non lo respingerò” (Gv 6,37). Perché Dio si rallegra di averti accanto a sé; e, se possibile, in modo permanente. Quando stai dinanzi a Dio, alla sua presenza, realizzi di fatto il ritorno della creatura esiliata verso il seno del suo Creatore, il ritorno di Adamo nel paradiso. Così la preghiera è, di per se stessa, una riparazione per le lunghe ore passate lontano da Dio, in mezzo alle preoccupazioni della terra e agli affanni della vita temporale (Lc 21,34). Per sua natura, la preghiera rappresenta un ritorno a Dio, una vera conversione. Dio, un tempo, ha cacciato Adamo dalla sua presenza, ed ecco che ora ti chiama senza sosta, “tutto il giorno”, a entrare alla sua presenza e a restare con lui.
- Pregare è ottenere il dono del ristabilimento della nostra condizione di figli che gridano: “Abbà Padre”.
- Quando volgi lo sguardo a Cristo con perseveranza nella preghiera, la sua immagine mistica e invisibile si imprime segretamente nel tuo essere interiore. Ricevi allora le sue qualità, vale a dire il riflesso della sua infinita bontà e dolcezza, e la “luce del suo volto” (Sal 4,7). È a proposito di questa trasformazione che Paolo dice: “Figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!” (Gal 4,19). La frequenza del tuo dialogo con Cristo nella preghiera fa sì che la sua immagine sublime si imprima segretamente in te senza che tu nemmeno lo sospetti. “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18).
(Matta El Meskin, Consigli per la preghiera)
2700 La cosa più importante è la presenza del cuore a colui al quale parliamo nella preghiera.
2710 La scelta del tempo e della durata della preghiera contemplativa dipende da una volontà determinata, rivelatrice dei segreti del cuore. Non si fa preghiera contemplativa quando si ha tempo: si prende il tempo di essere per il Signore, con la ferma decisione di non riprenderglielo lungo il cammino, quali che siano le prove e l’aridità dell’incontro. Il cuore è il luogo della ricerca e dell’incontro, nella povertà e nella fede.
2711 L’entrata nella preghiera contemplativa è analoga a quella della liturgia eucaristica: «raccogliere» il cuore, concentrare tutto il nostro essere sotto l’azione dello Spirito Santo, abitare la dimora del Signore che siamo noi, ridestare la fede per entrare nella presenza di colui che ci attende, far cadere le nostre maschere e rivolgere il nostro cuore verso il Signore che ci ama, al fine di consegnarci a lui come un’offerta da purificare e da trasformare.
2713 Nella preghiera contemplativa la Santissima Trinità conforma l’uomo, immagine di Dio, «a sua somiglianza».
2715 La preghiera contemplativa è sguardo di fede fissato su Gesù. «Io lo guardo ed egli mi guarda», diceva il Santo Curato d’Ars in preghiera davanti al Tabernacolo. Questa attenzione a lui è rinuncia all’«io». Il suo sguardo purifica il cuore. La luce dello sguardo di Gesù illumina gli occhi del nostro cuore; ci insegna a vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini. La preghiera contemplativa porta il suo sguardo anche sui misteri della vita di Cristo. In questo modo conduce alla «conoscenza interiore del Signore» per amarlo e seguirlo di più.
2716 La preghiera contemplativa è ascolto della Parola di Dio.
2717 La preghiera contemplativa è silenzio, «simbolo del mondo futuro» (Sant’Isacco di Ninive) o «silenzioso amore» (San Giovanni della Croce). Nella preghiera contemplativa le parole non sono discorsi, ma come ramoscelli che alimentano il fuoco dell’amore. È in questo silenzio, insopportabile all’uomo «esteriore», che il Padre ci dice il suo Verbo incarnato, sofferente, morto e risorto, e che lo Spirito filiale ci fa partecipare alla preghiera di Gesù.